VENDEMMIA SULL'ETNA
La vendemmia di una volta era una operazione molto impegnativa perché i vigneti erano tutti ad alberello, disposti in tante piccole terrazze e non vi erano molte stradelle. L’uva veniva raccolta e trasportata a mano dai punti più remoti fino alla cantina e richiedeva molta fatica e tempo, specialmente quando si svolgeva in punti remoti del vigneto.
Oltre trenta persone lavoravano insieme per un mese, condividendo una mensa comune dove il tipo di alimento variava in base alla intensità fisica del lavoro svolto. I “pestatori” pigiavano l’uva con scarponi chiodati al ritmo di musica ed avevano diritto allo stoccafisso.
Per i semplici raccoglitori era invece prevista una zuppa di legumi secchi. La pasta in quei tempi era ancora considerata un lusso.
Il massaro aveva potere assoluto sui lavoratori e redarguiva i raccoglitori che durante la raccolta facevano cadere gli acini per terra o ancora peggio chi che metteva da parte la passola (l’uva appassita) nelle “sacchette”.
Oltre al cibo, gli operai avevano diritto alla “acquatina”, vinello a basso grado ottenuto immettendo acqua nella vinaccia dopo la pressatura dei rossi.
È rimasto nei ricordi della masseria l’anno in cui la Nonna Giulia, avendo terminato l’acquatina, decise di dare da bere loro certe vecchie bottiglie di vino rosso che provocarono il blocco della raccolta a causa dello stato di ebrezza degli operai.
La vendemmia rappresentava allora un periodo di socializzazione, in una società dove i rapporti sociali erano molto formali e non molto frequenti.
Negli anni attuali non è più possibile vendemmiare alla antica maniera ma nella Tenuta San Michele, dopo che l’ultimo grappolo viene raccolto, viene offerta a tutti i lavoratori della vendemmia una festa con pasta, salciccia alla griglia ed i vini aziendali.